A fine del secolo scorso il sistema pensionistico Italiano ha iniziato una profonda trasformazione.
Abbiamo probabilmente sentito parlare di baby-pensionati che percepiscono pensioni con pochi anni di contributi versati (10 o 15 anni), pensionati che percepiscono pensioni pari o addirittura superiori alla media degli stipendi percepiti in età lavorativa “grazie” al sistema retributivo.
Oggi invece, secondo le stime Istat, si stima che l’età pensionabile attuale si raggiunga in media a 67 anni con almeno 37 anni di contributi versati; nonostante queste differenze il “gap” contributivo arriva ad essere tra il 40 e il 60% rispetto all’ultima retribuzione percepita.
Questo vuol dire che se lo stipendio medio in età lavorativa è di 1500 euro, potenzialmente la pensione potrebbe essere di 900 euro circa attualmente.
I cambiamenti sono dovuti principalmente all’innalzamento dell’età media di vita e al sistema pensionistico italiano basato sul principio della ripartizione.
Il sistema a ripartizione, utilizzato dall’Inps, è il sistema secondo il quale i contributi ricevuti in un determinato anno vengono interamente utilizzati per erogare i trattamenti pensionistici dello stesso anno.
In pratica quindi, con i versamenti dei contributi obbligatori da parte dei privati o aziende, vengono pagate le pensioni che vengono ricevute dagli aventi diritto nello stesso anno.
A causa degli squilibri attuali che ti citavo prima, cioè le molte pensioni erogate attualmente con il sistema retributivo e l’innalzamento dell’aspettativa di vita l’aspettativa di una vecchiaia finanziariamente assistita si sta indebolendo.
La piramide della popolazione si è evoluta molto nel corso dell’ultimo secolo presentando oggi una situazione potenzialmente esplosiva.
Molti pochi lavoratori rispetto ad i pensionati con un trend in continuo peggioramento.
Bassa crescita demografica e minor numero di occupati aumentano questi squilibri di anno in anno.
L’unico modo per poter prender in mano le redini della situazione è governare il proprio futuro ed adottare singolarmente il sistema a capitalizzazione.
Il sistema a capitalizzazione, in essere anche per le pensioni Inps fino al dopo guerra ed abbandonato per la svalutazione dovuta ad una iperinflazione, può essere adottato tramite l’adesione a pensioni complementari.
Le forme di previdenza complementare sono sistemi di risparmio pensionistico nei quali i contributi che il singolo lavoratore versa rimangono nominativi e registrati a suo nome.
Tutti i versamenti effettuati, al netto di eventuali riscatti, sono destinati al pagamento delle prestazioni dei lavoratori stessi al raggiungimento dell’età pensionabile.
Il rischio di squilibrio è molto più limitato ed è anche possibile mirare ad una rivalutazione più elevata a fronte dell’assunzione di rischio maggiore.
Quindi, mentre nel caso dell’Inps la rivalutazione del capitale versato è agganciata all’andamento del Pil, nel caso della previdenza complementare si potrà optare per investimenti nei mercati finanziari e quindi mirare ad una rivalutazione più generosa ed in linea con l’inflazione.
La previdenza complementare, a differenza di quella obbligatoria Inps è volontaria ed è gestita da un soggetto terzo e privato.
Per quanto riguarda il Tfr, nel caso di adesione al fondo negoziale è obbligatorio il versamento nel fondo stesso, come nel caso di adesione al Fondo pensione aperto su base collettiva.
Rimane invece facoltativo il versamento del Tfr nella previdenza complementare in caso di adesione a fondo pensione aperto su adesione individuale e nel caso di adesione al Pip.
Nel caso in cui il lavoratore cambiasse lavoro e quindi non potesse più aderire al fondo chiuso previsto dall’accordo collettivo avrà queste 3 possibilità:
lasciare invariato il patrimonio già versato ma non potrà più versare nel fondo di categoria
riscattare tutto il patrimonio già versato con l’applicazione di una ritenuta fiscale al 23%
trasferire la propria posizione ad un altro fondo pensione
Nella cambia invece nel caso delle adesioni a fondi pensione aperti o pip.
L’adesione ai fondi di pensione integrativa offrono numerosi vantaggi fiscali oltre che di pianificazione per la propria futura pensione e vecchiaia:
Sui premi versati nell’anno fiscale, fino a 5164.72 euro di versamenti è possibile effettuare la deduzione dal reddito dichiarato irpef (parlo del regime fiscale ordinario – nel regime forfettario non è possibile effettuare la deduzione dei versamenti nel fondo pensione).
Inoltre quando andrai a ritirare il capitale una volta raggiunti i requisiti pensionistici, la tassazione sul capitale accumulato sarà al massimo del 15% fino ad un minimo del 9%, in base agli anni di permanenza nel fondo stesso. Infatti ad ogni anno di permanenza eccedente il 15esimo e fino al massimo di 35 anni totali, viene ridotta l’aliquota di tassazione del 15% sopra citata di uno 0.30% per ogni anno.
Un’altra agevolazione importante è la tassazione sulle rendite che è del 20% anziché del 26% (rimane del 12.5% se riferita a strumenti finanziari statali e assimilati)
Articolo scritto da Mirko Tessari, versione estesa su https://www.mirkotessari.it/parliamo-di-fondi-pensione-e-trattamenti-fiscali/
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